Gli
Arabi importarono in Sicilia il riso
attorno all’ XI sec., ma solo dopo 200 anni si ha notizia che la sua
coltivazione, per merito degli Aragonesi, si era sviluppata nella Campania
felix.
In
Lombardia, nel Ducato di Milano, nel 1386, il riso era ancora considerato un
medicinale per stomaci deboli. Ma alla fine del XVI sec., per l’impulso degli
Sforza e di Venezia, la coltivazione del riso si diffonde nel Vercellese, nel Pavese, nel Veronese, nel Ferrarese
e nel Mantovano, tra Adige, Mincio e Po.
Il Grande Fiume è ancora oggi l’immaginario confine tra il riso e la pasta.
Di qua c’è il riso, al di là del fiume la pasta … e il riso – come lo consideriamo noi Italiani, cioè un piatto e non un contorno – è sempre stato un alimento insostituibile nelle campagne mantovane e del Basso Mincio.
Data l’esistenza di varie risaie che comportavano un pesante, ingrato e manuale lavoro di pulitura per migliaia di donne (le mondine), il riso ha occupato, fino a qualche tempo fa, un posto importante nel granaio di ogni famiglia contadina. Dal granaio alla tavola il passo è obbligatorio … il riso nasce nell'acqua e muore nel vino, passando per la casseruola.
Il Grande Fiume è ancora oggi l’immaginario confine tra il riso e la pasta.
Di qua c’è il riso, al di là del fiume la pasta … e il riso – come lo consideriamo noi Italiani, cioè un piatto e non un contorno – è sempre stato un alimento insostituibile nelle campagne mantovane e del Basso Mincio.
Data l’esistenza di varie risaie che comportavano un pesante, ingrato e manuale lavoro di pulitura per migliaia di donne (le mondine), il riso ha occupato, fino a qualche tempo fa, un posto importante nel granaio di ogni famiglia contadina. Dal granaio alla tavola il passo è obbligatorio … il riso nasce nell'acqua e muore nel vino, passando per la casseruola.
RISOTTO ALLA PILOTA
80 gr a persona di riso Vialone Nano
40 gr a persona di “pesto” (salamella)
Formaggio Grana grattugiato
Porzioni abbondanti.
È il piatto
tipico della Sinistra Mincio, così denominato dal “pilota” o “pilarino”
addetto alla lavorazione del riso nelle “pile”, ovvero gli impianti dove il
cereale viene trasformato in prodotto commestibile.
Scaldare
sul fuoco una pentola a fondo pesante contenente acqua salata in egual volume
del riso, mondare il riso e metterlo in un largo foglio di carta robusta da
cui farlo scendere al centro del
recipiente, quando l’acqua bolle. Il riso formerà una montagnetta, la cui
punta dovrà emergere di qualche millimetro dall’acqua.
Mescolare
lievemente, coprire e lasciare cuocere il tutto a fiamma alta per circa
10 minuti.
Mentre il
riso cuoce, preparare il condimento sbriciolando il pesto (salamella) e
rosolandolo in un po’ d’olio, fino a quando comincerà a prendere colore.
Trascorso
il tempo di cottura del riso, spegnere la fiamma, unire il pesto ed il Grana,
quindi con un cucchiaio di legno per amalgamare bene il tutto.
Porre sul
recipiente un telo pesante ed un coperchio, lasciare risposare il tutto per
15 minuti e servire in tavola.
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RISOTTO COI SALTARÈI
(risotto
coi gamberetti di fiume)
350 gr di riso Vialone Nano
400 gr di saltarèi
I saltarèi sono gamberetti di fosso o di
fiume, sempre più rari perché molto sensibili all’inquinamento.
Vanno
puliti accuratamente lavandoli sotto acqua corrente, asciugati e fritti in
olio bollente. Una volta scolati per bene, spolverarli con del sale e tenerli
in caldo.
Mettere al
fuoco un volume d'acqua salata approssimativamente uguale a quello del riso.
All'
ebollizione vuotare il riso nell'acqua, in uno strato uniforme.
Dopo una
cottura di 10~12 minuti spegnere il fuoco e coprire la pentola, interponendo
un panno di cotone spesso (un asciughino per piatti od un tovagliolo
ripiegati un paio di volte sono perfetti) fra la pentola ed il coperchio.
Così facendo, il calore non si disperde ed il vapore in eccesso viene
assorbito dalla stoffa.
Dopo 15
minuti di riposo il riso è pronto per ricevere il condimento di saltarèi.
NB: Il riso va mescolato una sola
volta, dopo aver spento il fuoco e prima di coprirlo con il panno.
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TORTELLI DI ZUCCA
Simbolo
della tradizionale cucina mantovana, dal particolare gusto inconfondibile,
vengono serviti nella sera della Vigilia di Natale.
1 kg di zucca, 150 gr di amaretti, 180 gr di
mostarda mantovana di mele, 160 gr di Grana grattugiato, un pizzico di noce
moscata, 1 uovo intero, un po’ di sale, un po’ di pane grattugiato, pasta
sfoglia.
Prendere la
zucca mantovana, togliere buccia e semi e cuocerla a vapore (o nel forno).
Lavorare la polpa della zucca con la forchetta, fino a ridurla ad una crema
uniforme. Aggiungere gli amaretti tritati, la mostarda, il Grana, il sale ed
eventualmente del pane grattugiato affinché l’impasto risulti asciutto.
Lasciare riposare il tutto.
Tagliare la
sfoglia di pasta in rettangoli di circa 8x4 cm e porvi al centro una quantità
giusta di ripieno. Ripiegare la pasta ottenendo dei pacchettini a forma di
portafoglio, pressati ai lati affinché non si aprano.
Cuocere in
abbondante acqua salata e condire a strati con burro fuso e formaggio Grana.
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Abbondante
di primi, povera di secondi, la cucina mantovana è ricchissima di dolci.
Ce ne sono per tutti i gusti: dalla pasticceria di alto livello (che risente di
insegnamenti austroungarici) come la Millefoglie, la Torta
Elvezia, la Torta Greca,
alla pasticceria di tipo rustico, fra cui primeggiano la Torta di Tagliatelle, la Torta
Paradiso, i
numerosissimi bussolani e la Sbrisolona.
TORTA SBRISOLONA
200 gr di farina bianca, 200 gr di farina
gialla setacciata, 200 gr di mandorle tritate, 200 gr di zucchero, 200 gr di
strutto, 3 tuorli d’uovo scorza di limone grattugiata.
Mescolare
la farina bianca, la farina gialla, le mandorle, lo zucchero, i tuorli
d’uovo, le scorze di limone e lo strutto.
Amalgamare
il tutto facendone un impasto omogeneo, ma a piccoli grumi.
Metter il
tutto in una casseruola imburrata, formando uno strato di circa 2-3 cm di
altezza, senza schiacciare i grumi.
Cuocere in
forno a temperatura alta, quando il suo colore sarà dorato togliere dal forno
e lasciar raffreddare.
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TORTA DI TAGLIATELLE
200 gr di farina bianca, 50 gr di zucchero, 2
uova, 200 gr di mandorle, 200 gr di burro, 150 gr di zucchero.
Fare un
sfoglia molto sottile, da cui ricavare delle tagliatelle sottilissime che si
dovranno aprire ed asciugare, prima di procedere con la torta.
Per il
ripieno, tritare le mandorle precedentemente tostate, amalgamare lo zucchero
con il burro ammorbidito e le mandorle.
Formare sul
fondo della tortiera uno strato di tagliatelle e zucchero, metter poi uno
strato di tagliatelle, mandorle e zucchero, e così di seguito, finendo con
mandorle e zucchero.
Infornare
per 30 minuti circa a temperatura media.
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TORTA PARADISO
200
gr di farina bianca, 200 gr di fecola di patate, 400 gr di zucchero, 350 gr di
burro, 4 uova intere, 1 rosso d’uovo, 1 scorza di limone grattata.
Per storia e
tradizione è la torta più mantovana.
La Torta
Paradiso, il Dolce Soave venne confezionato per
la prima volta nei forni del Palazzo del
Paradiso (da qui il nome), abitato da Isabella
d’Este, che sedicenne andò in sposa a Francesco II Gonzaga nel 1490,
divenendo per prìncipi e popolo la “Marchesa di Mantova”. Isabella amava
mangiare spesso questa torta, così quando si recava a Roma da Papa Leone X,
oppure a Firenze alla corte dei Medici, all’uso di quei tempi, portava con sé
una piccola corte di dame di compagnia ed anche uno scalco personale. Sarà
questo, che insegnerà ai cuochi medicei e papali la ricetta del dolce preferito
dalla marchesana, tanto che ancor oggi la Torta Paradiso è nota a Roma e a
Firenze come la “torta mantovana”. La fecola di patate è un ingrediente
aggiunto nel secolo scorso, per dare alla torta una maggiore leggerezza e
fragranza.
Unire la
farina bianca insieme alla fecola e mescolare. Lavorare a parte il burro con lo
zucchero, sinché non sarà ben montato e spumoso. Unire uno alla volta i 5 rossi
d’uovo. A parte montare a neve le 4 chiare e aggiungerle senza farle smontare,
poco alla volta, al composto. Per ultimo aggiungere la farina e la fecola già
mescolate ed infine la scorza di limone grattata. Amalgamare con molta cura.
Accomodare
l’impasto in una teglia imburrata ed infarinata, infornare a 180° per 40 minuti.
Capovolgere
ancora calda e servire sul piatto di portata a torta, spolverata con abbondante
zucchero a velo.
Una variante
consiste, anziché spolverare la torta con lo zucchero, di ricoprirla con un
trito di mandorle e burro, secondo un’antica usanza dei Longobardi, che insediatesi nel mantovano nell’VIII secolo, fecero
conoscere ai Mantovani l’uso in cucina delle mandorle dolci ed amare.
MELE ALLA BARTOLOMEO STEFANI
(per
2 persone) 1 grossa mela Golden, 5-6 cucchiai di zucchero, 1 arancia, 1 goccio
di Calvados, 30 gr di burro, 1 limone, qualche amaretto, 1 goccio di Grand
Marnier.
Sciogliere,
in una larga padella, il burro e 3 cucchiai di zucchero. Lasciar caramellare e
disporvi a fette (rotonde,alte circa un dito) la mela Golden. Cospargere le
fette di mela con poco zucchero, poi voltarle. Spruzzare con il succo del
limone e quello di ½ arancia. Continuare a voltare le fette e a velarle con lo
zucchero fino alla completa cottura delle mele. Fiammeggiare con Calvados e,
spenta la fiamma, spruzzare con Grand Marnier. Porre su ogni fetta di mela un
amaretto, inumidire col sughetto formatosi nella padella e servire caldissimo.
La ricetta è
di Bartolomeo Stefani, bolognese,
capo cuoco alla corte dei Gonzaga, che nel 1662
pubblica a Mantova L’arte di ben cucinare.
Bibliografia:
- AA.VV., Mantova in tavola – Itinerari del Mantovano, pubblicazioni dell’Azienda di Promozione Turistica del Mantovano, 2002
- R. Delfino, Le ricette della grande cucina mantovana, Ed. Demetra, 1998
- C. Eramo, Cucina mantovana, Franco Muzzio Editore, 2002
- F. Marenghi, La cucina mantovana ieri e oggi, Ed. Riccardi & Associati, 1996