IL CASTELLO DI CASTEL D'ARIO

Veduta  dal vallo del castello.
Il castello d Castel d'Ario è uno dei rari esempi di fortificazione medievale ancora integra nella sua struttura originaria. 
Ingresso del castello.
Si tratta di un complesso articolato, composto da un’antica rocca, di cui rimane oggi la massiccia torre centrale, contornata per quasi tre lati dal suo basso recinto e dalla cinta muraria dell’adiacente fortezza.

Il perimetro delle mura disegna una forma pentagonale irregolare, intramezzata da quattro torri angolari, in una delle quali si apre l’ingresso, davanti al quale emergono i resti dell’antico rivellino (una costruzione a protezione della porta).
Mura e torri sono state spogliate della merlatura, dei coperti, di varie costruzioni ad esse addossate, ma conservano tanti segni del glorioso passato.

Affreschi scaligeri nel palazzo pretorio.
Accanto alla torre d’ingresso si è conservato nel tempo il palazzo pretorio, recentemente ristrutturato in modo radicale. Proprio questo restauro, avviano negli anni ’80 del Novecento, ha riportato alla luce, al piano nobile, pareti interamente affrescate con stemmi scaligeri dell’epoca di Cansignorio (1359-1375).
L’apparente incongruenza di una forte presenza scaligera in un castello mantovano si spiega storicamente con uno dei tanti episodi che hanno segnato la vita di Castel d’Ario, all’epoca chiamato Castellaro*: terra veronese al tempo di Matilde di Canossa (1046-115), poi andata in feudo al vescovo di Trento nel 1082; sub-infeudata prima ai mantovani Bonacolsi e poi ai loro vincitori Gonzaga; ritornata sotto il dominio diretto di Trento nel ‘700, fino all’avvento di Napoleone. Da allora, la storia del paese segue quella del mantovano, ma intanto, per sette secoli, è ruotata attorno alle mire di tre città: Mantova, Verona e Trento.
Gli affreschi scaligeri (rara testimonianza pittorica dei signori veronesi nei territori che furono loro soggetti) vennero realizzati nel ventennio in cui il castello venne dato in pegno ai Della Scala, a garanzia del prestito di 30.000 fiorini d’oro da essi concesso ai Gonzaga nel 1357.
Il prestito venne poi restituito nei tempi pattuiti e ciò significò il rientro del feudo di Castellaro tra i possedimenti gonzagheschi.

La Torre della fame.
Alla torre interna – anticamente chiamata torre delle prigioni (vi furono qui imprigionati, tra fine ‘400 ed inizio ‘500, prima Evangelista Gonzaga e poi Taddea Cardinalina), ma dal 1853 soprannominata torre della fame – è legata la memoria di un evento straordinario. Nel 1851, durante i lavori di scavo per ricavarvi una ghiacciaia, vi si rinvennero i resti di sette scheletri, di cui uno ancora in ceppi, riconducibili a personaggi storici ben precisi, ovvero: tre membri della famiglia Pico della Mirandola e quattro della famiglia Bonacolsi, lì imprigionati e lasciati morir di fame, i primi da Passerino Bonacolsi nel 1321 ed i secondi da Luigi Gonzaga nel 1328.

Oggi nella torre si può visitare solo la cella della ex ghiacciai, poiché è impossibile accedere ai vari piani, privi di solai e di un collegamento col piano terreno, ma con interessantissime vestigia di travi, camini, affreschi e con la volta a crociera intatta all’ultimo piano.
(Testo di Gabriella Mantovani, marzo 2014).

Per informazioni più dettagliate si rimanda al libro di Gabriella Mantovani,"Il castello di Castel d'Ario. Da Matilde di Canossa ai vescovi di Trento. Dai Turrisendi ai Bonacolsi e ai Gonzaga. Da Napoleone fino ai nostri giorni", edito da Sometti nel 2012 (ISBN: 978-88-7495437-7).

*L'antica denominazione Castellaro venne sostituita nella seconda metà del XIX secolo, in quanto ritenuta troppo comune e confondibile con altri villaggi omonimi od assonanti del circondario.
Fu il sindaco Luigi Boldrini, amico di Giosuè Carducci, che chiese al poeta di trovare una nuova e più esclusiva denominazione.
Riferendosi al castello ritenuto di epoca romana, che la leggenda voleva essere stato fondato dal centurione Dario o Ario, Carducci confezionò il nome di Castel d'Ario.
Il consiglio comunale approvò la nuova denominazione il 27 febbraio 1867. (Da Wikipedia).

Anche su Facebook